In questo articolo vedremo:
- Green marketing sì, ma occhio al greenwashing!
- Sai capire se è greenwashing? Ecco come riconoscerlo
- Greenwashing: una truffa che costa cara!
- Greenblushing: il rischio di non parlarne
- Le regole per costruire un green claim efficace
Green marketing sì, ma occhio al greenwashing!
Greenwashing ovvero proclamarsi eco-friendly per costruire un’immagine positiva del brand sotto il profilo dell’impatto ambientale, distogliendo così l’attenzione dagli effetti negativi di dinamiche aziendali in realtà ben poco green.
Una comunicazione ingannevole che nasce dalla necessità di volere dare al consumatore ciò che oggi più lo appaga, ovvero la possibilità di contribuire con la propria scelta alla difesa dell’ambiente.
Il paradosso del greenwashing è che più si parla di sostenibilità, più il consumatore alza la guardia, selezionando le informazioni veritiere da quelle false, con un atteggiamento di crescente diffidenza. Consumatori attenti smettono di acquistare da brand che si proclamano “green” senza esserlo.
Una prova tangibile che comunicare la sostenibilità aziendale è un trend topic arriva da questa indagine di The Easy Way con EG Media, secondo cui:
- nel primo quadrimestre del 2019, i brand che hanno affrontato temi legati all’ambiente sono aumentati del 33% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente
- le principali keywords correlate alla parola sostenibilità sono aumentate nel 2019 rispetto all’anno precedente con le seguenti percentuali: ambiente +31%, plastica +73%, riciclo +66%, pianeta +80%
Per la brand reputation, il danno di una comunicazione sostenibile poco chiara rischia di essere irreversibile. Per questo, la comunicazione aziendale legata ai temi ambientali deve sempre essere affidata a professionisti, che sappiano promuovere un marketing sostenibile credibile e veritiero.

Il brand che fa greenwashing mira ai benefici legati ad etichette come bio, eco, green senza avere queste qualità nel proprio DNA.
Per aiutarti a capire quando ti trovi di fronte a un caso di greenwashing, ecco di seguito alcune forme che questo fenomeno può assumere:
- indicazione che un prodotto o un processo è sostenibile in base solo a uno o due requisiti, ignorando altre importanti caratteristiche
- affermazioni di sostenibilità senza prove, oppure vaghe e scarsamente definite, tali da generare fraintendimento
- affermazioni non rilevanti o inutili per gli acquirenti
- affermazioni di sostenibilità sociale o ambientale false o imprecise
- utilizzo di immagini, parole, loghi o colori che inducono a pensare che l’azienda operi in maniera sostenibile, ma così non è. Pensiamo ad esempio a quante volte la carta viene fatta apparire come riciclata semplicemente dandole una colorazione marrone, illudendoci che sia la rigenerazione di uno scarto
Per avere successo, la sostenibilità non deve solo essere proclamata, ma deve anzi essere una componente essenziale della strategia aziendale in ogni suo aspetto: scelta dei materiali, catena di fornitura, sviluppo del prodotto, produzione e imballaggio, per citarne alcuni. Di quest’ultimo abbiamo parlato ampiamente nei nostri articoli Green packaging: ingrediente essenziale di una strategia di marketing sostenibile e Tra scartare e scartare c’è una bella differenza, che ti invitiamo a leggere.
Greenwashing: una truffa che costa cara!

Dichiarare di essere sostenibili senza esserlo danneggia non solo il brand, ma anche più in generale la percezione dell’economia green. Ciò genera nei consumatori un calo di fiducia, disillusione e scetticismo. Si alimenta così un atteggiamento irresponsabile, lo stesso che porta il cittadino diffidente a non fare la raccolta differenziata perché “tanto buttano tutto nella stessa discarica”. Paradossalmente, anziché generare un beneficio, il greenwashing può generare a lungo andare un danno alla società.
Il tema è talmente scottante, e la truffa ai danni dei consumatori così perpetrata, da essere diventata oggetto di un’indagine a tappeto svolta dalla Commissione Europea sui siti web.
I risultati? Esempi di greenwashing sono stati riscontrati in 4 aziende su 10, appartenenti ai più disparati settori. Per loro l’accusa è di pratiche commerciali sleali a norma del diritto dell’UE.
Come riporta il comunicato stampa del 28 gennaio 2021:
- in oltre la metà dei casi, il commerciante non ha fornito ai consumatori informazioni sufficienti per valutare la veridicità dell’affermazione
- nel 37 % dei casi, l’azienda ha dimostrato di comunicare la sostenibilità con formulazioni vaghe e generiche, come “cosciente”, “rispettoso dell’ambiente”, “sostenibile”, miranti a suscitare nei consumatori l’impressione non veritiera di un prodotto senza impatto negativo sull’ambiente
- nel 59 % dei casi, il commerciante non ha fornito elementi accessibili a sostegno delle sue affermazioni sulla sostenibilità aziendale
A tutti i brand coinvolti in questa truffa è stata intimata l’immediata soluzione del problema.
Ma il danno, oltre che d’immagine, può anche essere economico, con sanzioni davvero salate!
È quanto è successo ad ENI, con una decisione storica, in cui per la prima volta in Italia si è parlato ufficialmente di greenwashing e dei rischi per il cittadino.
Il 15 gennaio 2020 l’autorità garante della concorrenza e del mercato ha infatti disposto una multa di 5 milioni di euro per pratica commerciale ingannevole in merito alla pubblicità ENIdiesel+.
Un advertising volto a ingannare i consumatori, proponendo un diesel bio, green e rinnovabile, in grado di ridurre le emissioni di gas fino al 40%. Nulla di vero! Il “Green Diesel” è verde solo di nome e gli additivi vegetali non aiutano affatto l’ambiente, né riducono i consumi.
Questo provvedimanto ha rappresentato una presa di posizione importante nei confronti delle società di combustibili fossili e dei loro tentativi di far credere che i biocarburanti contribuiscano alla soluzione della crisi climatica.
Greenblushing: il rischio di non parlarne

C’è chi troppo e c’è chi niente! Ecco un altro possibile errore da non commettere nel comunicare la sostenibilità aziendale. Mentre molte realtà cadono preda della tentazione del greenwashing, un numero crescente di aziende è infatti suscettibile all’atteggiamento contrario, ovvero quello del greenblushing. Il termine allude all’arrossire per timidezza, a quell’incapacità di esporci che a volte ci blocca.
È proprio quello che accade a chi, non riuscendo a credere che i propri sforzi di sostenibilità siano poi così importanti, tende a non diffondere informazioni sulle pratiche aziendali ecofriendly.
Il greenblushing può avere origine da diverse motivazioni:
- timore delle potenziali conseguenze negative che una comunicazione in merito al proprio percorso sostenibile potrebbe generare
- convinzione che una dichiarazione di responsabilità sociale d’impresa possa bastare
- timore che le parti interessate non condividano gli stessi valori o non li percepiscano come importanti. Atteggiamento questo che porta spesso a non condividere i propri sforzi nemmeno con stakeholder e dipendenti, quando sappiamo benissimo che la sostenibilità implica sempre una partecipazione condivisa.
Non avere paura di sbagliare! Per una comunicazione sostenibile sicura ed efficace, la nostra agenzia di comunicazione è al tuo fianco
Le regole per costruire un green claim efficace

La scelta più penalizzante in assoluto per la comunicazione aziendale in termini di valore di mercato? Ti sorprenderà saperlo, ma scegliere di non comunicare affatto le tematiche ambientali risulta essere in assoluto la scelta peggiore!
Questo quanto riporta un recente studio a cura di Fabio Iraldo, professore ordinario di Management presso la Scuola Sant’Anna di Pisa. Secondo questa analisi, se il greenwashing peggiora lievemente o non migliora le performance competitive delle imprese, il fatto di tacere completamente la propria posizione nei confronti delle tematiche ambientali è tra tutte la scelta meno redditizia.
Va da sé che, in un’arena competitiva in cui praticamente tutti i concorrenti parlano di ambiente, la differenza la fa l’efficacia della comunicazione. Una comunicazione che deve essere in grado di:
- raggiungere il destinatario, predisponendolo all’acquisto o e al consumo del prodotto
- stabilire un dialogo costruttivo con tutte le parti interessate e creare una community, fornendo un canale per uno scambio continuo di informazioni
- rafforzare la reputazione del marchio sul mercato, fornendo un vantaggio competitivo rispetto ai competitor che non si impegnano in pratiche sostenibili o che non riescono a parlarne.
La comunicazione sostenibile deve essere
- Chiara, accurata e specifica, esplicitando le condizioni necessarie affinché il beneficio ambientale relativo al prodotto si possa manifestare, per un suo utilizzo responsabile
- Rilevante e coerente, che mostri aspetti ambientali significativi rispetto all’area o ai destinatari coinvolti nell’utilizzo
- Comparabile, accompagnata dall’utilizzo di dati comprensibili, ottenuti con metodologie ripetibili
- Attendibile e verificabile, con indicazione della fonte e corredata da dati facilmente comprensibili
- Soprattutto una comunicazione ecosostenibile deve essere efficace!
Sostenibile non significa noioso! Una comunicazione green efficace riesce ad armonizzare una strategia leale con la capacità di stupire il pubblico, facendosi scegliere, amare e ricordare.
Come deve essere per qualsiasi pubblicità di successo.